domenica 19 luglio 2009

gone baby gone

Gone Baby Gone, esordio alla regia di Ben Affleck, è un altro titolo penalizzato da una distribuzione italiana oscena, questa volta pare in relazione alla scomparsa della piccola Madeleine McCann (Portogallo, inizio 2007). Decisione francamente inconcepibile, perché se è vero che nel film una bambina bionda viene rapita, le somiglianze finiscono qui: il film è stato scritto e diretto prima del fatto, peraltro.

Zona degradata di Boston, una bambina viene rapita; la madre - tossica - sembra più interessata a sé stessa che alle sorti della piccola, ma ovviamente il caso suscita grande clamore e la polizia indaga sulla scomparsa. Gli zii della bambina ingaggiano una giovane coppia di detective privati nella speranza di ritrovarla al più presto.
Inizia una discesa in un mondo di criminali, spacciatori e pedofili, ma la soluzione del caso non sarà né semplice né indolore per nessuno.

Film crudo alla Clint Eastwood, deve probabilmente gran parte dei suoi meriti all'omonimo libro di Dennis Lehane (lo stesso che scrisse Mystic River, per dire...)
Non è però il caso di sminuire il buon lavoro di adattamento fatto da Ben Affleck, che firma anche una regia che magari non riscrive le regole del cinema, ma è più che degna e perfetta per il genere.
Povero Ben, denigrato da tutti: sono il primo ad ammettere che come attore fa quel che può, ma se il co-autore di Good Will Hunting fosse il peggio che c'è ad Hollywood, avremmo 4 capolavori la settimana, invece della merda che ci viene propinata quasi quotidianamente.

Se proprio vogliamo trovare qualche nota stonata, va cercata nella recitazione di Casey Affleck e di Michelle Monaghan; niente da dire su Morgan Freeman e - soprattutto - Ed Harris.
Poi, a ben guardare, soffre anche di qualche dialogo un po' troppo impostato e della complessiva inverosimiglianza della storia in sé (ed anche alcuni passaggi logici sono un tantino azzardati), ma in fondo questo genere di film è bello anche per quello.

Voto: 9- e chapeau a Ben Affleck.
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venerdì 10 luglio 2009

elfen lied

Se cercate qualcosa di scandalosamente crudo, Elfen Lied è sicuramente un buon inizio.
No, sul serio: mi dicono che Ken Il Guerriero sia scoppiato in lacrime ed abbia smesso di guardarlo dopo il quinto episodio!

Serie di 13 episodi (più un OAV lungo quanto una puntata) creata da Lynn Okamoto, Elfen Lied è in realtà un misto molto ben riuscito di vari elementi, dalla fantascienza al dramma sentimentale; il tutto condito con quantità di abominevole violenza e spensierato fan-service come mai prima d'ora.

I Diclonius sono una evoluzione del genere umano dotati di corna (e fin qui, direte voi...) e di Vectors: essenzialmente braccia extra, invisibili, velocissime e quasi indistruttibili; vibrano inoltre ad altissima frequenza, consentendo tagli netti nella materia solida.
Hanno inoltre la sgradevole abitudine di uccidere a vista qualunque essere umano faccia loro girare le scatole (e più spesso che no anche gli estranei); i pochi che vengono lasciati in vita risulteranno infettati da un virus che li porterà a concepire figli Diclonius.
Durante la fuga del centro di ricerca ultra-segreto in cui vengono confinati e studiati, una Diclonius (Lucy/Nyu) subirà un trauma che la porterà a sviluppare una seconda personalità infantile, sensibile ed anche un po' porca.
Incontrerà Kohta (che in giapponese credo significhi "Calamita di Fica Ancorché Disfunzionale e/o Mutilata" ), a sua volta vittima di un trauma infantile ora rimosso dalla coscienza.
Non mancheranno ovviamente scontri con altri Diclonius ed esseri umani vari (cfr. "carne da cannone"), oltre ad una buona quantità di risvolti sentimentali.

Come detto, la violenza è veramente enorme: parliamo di un vero e proprio bagno di sangue quasi costante, oltre a numerosi episodi di violenza (fisica, psicologica, sessuale e quant'altro) su minori.
Allo stesso modo il fan-service abbonda (del resto se le Diclonius sono mediamente belle figliole coi capelli rosa, perfettamente depilate, con due tettine sode e l'abitudine di andarsene in giro nude, capite che il tutto è davvero funzionale alla trama! ): la prima puntata mette ben in chiaro che non ci si risparmierà proprio nulla.
Va però detto che tutti questi elementi sono usati molto bene, e soprattutto inseriti in una trama avvincente e ben studiata.

Buone le musiche, sempre graditi i riferimenti alla cultura germanica (titolo, sigla e titoli degli episodi) che fa tanto intellettuale; la regia non brilla anche se qualche buon momento ce l'ha (e di sicuro non fa danni, pur risultando un po' statica).
Il disegno lascia un po' perplessi, ma alla fin fine non stona: buona parte dei protagonisti hanno infatti i classici occhioni giapponesi, con tratti tondeggianti (e vederli commettere cose abominevoli è un bel contrasto).

Insomma, consigliato a chi vuole qualcosa di piuttosto strano (prima magari guardatevi qualche spezzone in rete, per farvi una idea di che morte morirete).

Voto: 8.5. Bello parecchio (e qui il PG-13 non è stato neanche lontamente preso in considerazione ).
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giovedì 2 luglio 2009

diary of the dead

Impantanato chissà perché in una distribuzione da terzo mondo, tocca rivolgersi al solito generoso mercato inglese anche per Diary of the Dead.
Le recensioni non erano entusiastiche ed anche il pubblico reagì con freddezza; inevitabile quindi un minimo di sospetto verso l'ennesimo zombie-movie di zio Romero.
Ebbene, per quanto mi riguarda tutte le voci critiche si sono rivelate dead wrong.

Un vero e proprio reboot (concetto che di norma non amo), per aggiornare gli zombie ai giorni nostri: d'improvviso, senza alcuna motivazione, i morti si animano ed iniziano ad attaccare i viventi. Il panico è immediato e devastante: in brevissimo tempo l'intera società si sfalda; niente più sicurezza, né legge, né comunicazioni.
Un piccolo gruppo di studenti di cinema - che ovviamente stavano girando un horror - s'imbarcherà in un viaggio verso casa nella speranza di trovarvi ancora qualcuno vivo.

Concetto non dissimile da quello già esplorato in tutti gli altri della serie, la differenza qui la fa la modalità narrativa: il film è infatti presentato come se fosse il montaggio definitivo di una serie di spezzoni di riprese girate dagli studenti stessi - in particolare uno di loro, ossessivo nella sua mania di documentare quanto sta accadendo.
Come facilmente prevedibile il viaggio sarà tutt'altro che agevole, ed occasione tanto di sgraditi incontri quanto delle immancabili riflessioni romeriane (il già visto "siamo degni d'essere salvati/siamo poi così diversi da loro?" ma anche e soprattutto uno sguardo molto critico ai nuovi media ed ai nuovi modi di diffondere e fruire la comunicazione).

Romero dovrebbe stanare e uccidere tutti coloro che solo per questo hanno paragonato il suo lavoro a Cloverfield e The Blair Witch Project; sono sempre stato un detrattore dell'abuso della telecamera a mano, ma quel che davvero conta è cosa racconti, e Diary of the Dead nei suoi 95 densi minuti racconta molto e soprattutto lo racconta dannatamente bene.
Senza tralasciare il piccolo dettagli che - a differenza dei due titoli citati - questo film fa davvero paura, quando decide di farla.

Aveva tutti gli ingredienti per risultarmi alquanto sgradito (reboot, telecamera a mano, nuovo capitolo di una serie che sembrava aver detto tutto o quasi, l'addentrarsi in un campo non suo come l'utilizzo dei nuovi media, ...), ed invece ho finito con l'adorarlo, anche se la mia pare essere una opinione non così diffusa.

Voto: 9.5. Lo zombie che non ti aspetti!
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